Cinque Sentieri
(di Giuseppe Calliari)
Il pozzo notturno.
Con scarto verso l’astrazione si collocano, con severo rigore introspettivo, il maestro dell’incisione cileno Jaime Cruz e due autori perginesi la cui vicenda artistica si è declinata spesso in simbiosi: Bruno Degasperi e Carlo Girardi. Nella controllata ricerca formale dell’autore latinoamericano, con il quale La Cerchia vanta una lunga e profonda amicizia, la vibrazione emotiva si coniuga alla contemplazione intellettuale, in una sintesi stupefacente. Nelle “superfici” di Degasperi il segno ricerca la consistenza della materia per catturare in più modi la luce, e dispone con sicurezza le sezioni formali. In Girardi l’inclinazione ad un “lirismo freddo e visionario” convoca materiali comuni per ricomporre tasselli di un universo il cui codice è alluso da arcani simboli. Anche Livio Conta appartiene a questo capitolo, con il paesaggio cosmico che più della realtà visibile riflette un’immagine interiore, metafisica, emersa d’un tratto alla visione.
Allo specchio. Cinque autori si interrogano sulla figura dell’artista, e tra di loro due “maestri” che La Cerchia ha voluto richiamare a sé. Dell’autorappresentazione parlano infatti i “teatrini” di Mariano Fracalossi, qui declinati nella giocosità circense di acrobati e maschere musicanti, e dichiaratamente autobiografico è il collage di Lino Lorenzin, che dalle evanescenti macchie rosse e aranciate della sua tavolozza fa trasparire un lacerto di lettera. Due artiste amiche, voci della cultura latinoamericana, trovano posto qui: la cilena Teresa Razeto si racconta artista-pupazzetto nella corsa della vita urbana, in un’incisione che appare di getto, mentre la messicana Eva Laura Morata rappresenta in rosse silhouettes lo sfilare “appiattito” del tempo quotidiano. In Ilario Tomasi la figura si radicalizza, assorbendo tecniche d’incisione apprese nel dialogo con Jaime Cruz, e riemerge la rappresentazione atavica, primitiva, nel contrasto di rosso e nero carbone.
Stagioni. Attraverso il paesaggio, lo spazio naturale che sta fuori dell’io ma nell’atto della visione ne assume i timbri emotivi, si esprime un nutrito gruppo di autori. A cominciare da Tullio Gasperi, nel cui recente lavoro la vitalità del gesto e del colore compone dinamicamente l’esuberanza della natura perennemente nascente, in una sintesi di fatto astratta. Alla forza emotiva del colore, un blu profondo e mosso, si affida anche la giovane Elisa Zeni, mentre trattiene in un dettaglio carico di stupore il movimento della cristallizzazione. Alla figura abbozzata di una “zòca” di castagno Carla Caldonazzi consegna la propria visione poetica, che è oltrepassamento del dato realistico in un dialogo sottile e profondo con la natura vivente. Autorevolmente seguono quattro “maestri” ricordati nella esposizione attraverso il loro sguardo sul paesaggio alpino. La semplice visione di un paesaggio lacustre, filtrata da una cortina di fronde, basta a Silvano Nebl per dare sonorità al suo mondo interiore, in sintonia con la luce. Remo Wolf coglie inaspettatamente con la sgorbia lo scorrere contrastato di un torrente, la sua tenace “fatica di vivere”. Nel Vigolo colto al mattino da Cesarina Seppi, come nella tela di Marco Bertoldi, la tavolozza deborda dal dato naturalistico, si appropria creativamente dell’oggetto facendone espressione festosa del proprio rapporto col mondo. Al segno virtuosistico e ironico conduce invece Paolo Dalponte, in una lettura antilirica della montagna, gioco di prestigio iperrealista che apre alla surrealtà.
Le voci delle cose. In alcuni esempi l’osservazione si rivolge all’oggetto, al manufatto, silenzioso eppure eloquente. L’artista tedesca Maria Farkas, anima delle relazione de La Cerchia con gli artisti di Kempten, compie un personale omaggio a Giorgio Morandi. Anna Maria Rossi Zen piega le sue costruzioni a larghe trame e campiture all’impressione istantanea di presenze vegetali domestiche. Adriano Fracalossi gioca con i ritmi della vecchia città, una sorta di arte combinatoria che si nutre di memoria e di legami: la sua città di tetti è un “esterno virtuale”, la sua Trento è ogni volta ricostruita “in camera”. Alla memoria storica e architettonica guardano con indole opposta Mario Matteotti, che riporta a linee ideali la Rocca della sua Riva del Garda, e Marco Berlanda che celebra in un “ludus” liberatorio le memorie dell’Unità nazionale.
Apparizioni. Infine l’eros, che riporta alle parti sotterranee della coscienza. Immagini del desiderio, confessate da voci tutte maschili, compongono un capitolo sono apparentemente conclusivo. Si potrebbe anzi dire proprio che da qui forse tutto, in arte, prende inizio. Giorgio Tomasi ricompone per frammenti una sfuggente immagine, in cui il voyeurismo si tempera nella stilizzazione, lasciando spazio al bianco, al non detto. Alla lezione di erotismo e esotismo di Paul Gauguin guarda in una cifra costruttiva tutta personale Franco Da monte, con le sue donne compenetrate, costellazione indivisibile dell’”eterno femminino”. A due “maestri”, Giuseppe Graziadei e Carlo Bonacina, si devono i nudi femminili di alta sintesi compositiva, quello evanescente e allusivo del primo, quello corposamente plastico del secondo. Nell’opera scultorea e pittorica di Cirillo Grott l’apparire e il venir meno della bellezza e della giovinezza sono temi ben presenti, nella corrispondenza di amore e morte, di “eros” e “thanatos”.
Giuseppe Calliari